Bergoglio, la “frociaggine” e ora “le checche”
A) Testo dell’articolo:
“Grazie a nostre fonti in altissimo loco, presenti all’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana tenutasi a porte chiuse lunedì 20 maggio, possiamo finalmente ricostruire – con accettabile precisione – quanto è realmente avvenuto ed il contesto delle parole pronunciate da papa Francesco, secondo il quale – lo ricordiamo – «nella Chiesa c’è troppa aria di frociaggine» e quindi i Vescovi devono «mettere fuori dai seminari tutte le checche, anche quelle solo semi orientate» , peraltro in apparente contrasto con quanto cristallinamente denunciato da José Antonio Ureta e da Julio Loredo nel libro di recentissima pubblicazione La diga rotta. La resa di Fiducia supplicans alla lobby omosessuale, edito dall’associazione Tradizione, Famiglia, Proprietà – TFP.
Già ad una primissima lettura, peraltro alcuni dettagli apparivano strani o quantomeno necessitanti un approfondimento: dalla terminologia volgare alle checche «solo semi orientate», che apparirebbe una inutile specificazione.
Occorre quindi fare un passo indietro nel tempo, e precisamente al 16 novembre 2023, quando la 78ª Assemblea generale straordinaria della Conferenza episcopale italiana ha approvato la nuova Ratio nationalis formationis sacerdotalis per i seminari in Italia che – in coerenza con il decreto contenente la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis approvato da papa Francesco l’8 dicembre 2016 – deve disciplinare la formazione dei sacerdoti.
In particolare il capitolo VIII, lettera c), del decreto della Congregazione per il Clero ribadisce che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone [con tendenze omosessuali], non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».
La norma italiana è, però, ancora (stranamente) in attesa della conferma da parte del Dicastero per il Clero.
Le nostre fonti ci informano, infatti, che – su pressione della lobby omosessualista – il testo della Conferenza episcopale italiana, in palese contrasto con il documento vaticano, preveda la possibilità di accedere al seminario e, quindi, agli ordini sacri per le persone con tendenze omosessuali «non radicate»: è evidente che l’impossibilità di definire e poi di discernere tale «radicalità» spalancherebbe le porte dei seminari italiani a tutti («todos, todos, todos»…) .
Sempre secondo le nostre fonti, questo passaggio del testo pare abbia bloccato (o, almeno finora, rallentato) la conferma da parte del Dicastero per il Clero, evidentemente preoccupato per i potenziali effetti, creando malumore all’interno della lobby omosessualista ben radicata tra i prelati italiani.
E così nell’Assemblea generale della CEI dello scorso 20 maggio si è consumato sul tema il redde rationem tra papa Francesco ed i Vescovi sostenitori del «libero accesso» ai seminari ed agli ordini sacri per le persone con tendenze omosessuali.
Le nostre fonti ci raccontano che, in tale assemblea, siano stati mons. Nicolò Anselmi, Vescovo di Rimini e ben noto ai lettori di MiL per le sue posizioni pro-LGBTQI ecc. ed un altro Vescovo sardo a porre la domanda a papa Francesco per superare le obiezioni sollevate dal Dicastero per il Clero, confidando in una risposta compiacente (ed in linea con le plurime aperture omosessualiste).
Da questa domanda nasce la risposta dai toni coloriti ed evidentemente stizzita di papa Francesco, che si è trovato assediato su entrambi i fronti.
E in questo contesto si comprende il riferimento a «tutte le checche, anche quelle solo semi orientate», ovvero alle persone con tendenze omosessuali «non radicate» a cui la Ratio della CEI permetterebbe l’accesso al seminario.
Ora una ultima questione sulla quale le nostre fonti non sono state concordanti: chi ha fatto trapelare la risposta (ponendo maliziosamente l’accento sulla forma triviale) di papa Francesco?
Voci abbastanza attendibili (ma – ribadiamo – non concordanti) affermano che sia stato lo stesso mons. Nicolò Anselmi a fare trapelare la notizia alla stampa, con l’evidente scopo di forzare ancora una volta la mano di papa Francesco (che, quindi, è ritenuto ricattabile da parte della lobby omosessualista in seno all’Episcopato italiano) e far accettare la nuova norma inserita dalla CEI nella Ratio nationalis formationis sacerdotalis per i seminari in Italia.
Ma qualcosa sembra – per ora – essere andato storto, anche se la dichiarazione di ieri pomeriggio del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede , il quale ha riportato le scuse di papa Francesco «a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri», lascia intendere che la potente ed onnipresente lobby omosessualista è ancora forte, agguerrita e con molte molte molte armi nel suo arsenale pronte per essere utilizzate.”
(Blog Messa in Latino, 29 Maggio 2024)
B) Riferimenti alla Sacra Scrittura:
“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1Cor 13,1-3)
C) Commento:
La pratica omosessuale non è da Dio e per i cristiani è un peccato. Questo è un punto fermo della dottrina cristiana autentica e nessuno può mitigarla e stravolgerla, neppure il papa.
Tuttavia, nessuno, a maggior ragione un papa, è autorizzato ad offendere e usare parole dispregiative verso gli omosessuali, mancando loro di rispetto umano e di carità cristiana. Senza carità si è nulla.
Non bastava il termine dispregiativo “frociaggine” (cfr. Bergoglio e la “frociaggine”), ma ora si apprende che Bergoglio ha utilizzato anche il termine “checche”. Al peggio sembra non esserci fine.
La realtà è che nella Chiesa di Roma regna il disordine, morale e fraterno, in un clima crescente da “tutti contro tutti”. Non siamo alla fine ma solo all’inizio.